Ecco, sono pronto a riprendere quanto interrotto.
Il mito di Fetonte
Elio con il suo carro - Fonte Flickr |
Arrivato alla dimora di Elio, subito si diresse al suo cospetto, ma fermandosi a una certa distanza: più vicino non ne avrebbe sostenuto il fulgore. Avvolto in un manto purpureo, Elio sedeva su un trono tutto sfolgorante di smeraldi luminosi; «Perché sei venuto?» gli disse. «Cosa cerchi in questa rocca, Fetonte, rampollo che mai potrei rinnegare?». Il ragazzo rispose con referenza: «Dammi testimonianza, o padre, che mi rassicuri d'essere tuo figlio, e strappami questa incertezza dal cuore». Elio abbracciandolo gli disse: «Non c'è ragione per negare che tu sia mio figlio. E perché tu non abbia dubbi, chiedimi quello che vuoi: da me l'avrai; e alla mia promessa sia testimone quella palude misteriosa su cui giurano gli dei (Stige, ndr)».
Non appena tacque, il giovane gli chiese il cocchio, col permesso di guidare per tutto un giorno i cavalli dai piedi alati. Si pentì il padre suo di aver giurato e cercò di dissuaderlo, ma Fetonte non volle sentire ragioni; allora il genitore, dopo avere indugiato quanto più possibile, condusse il giovane al cocchio, sublime dono di Vulcano.
Mentre Fetonte ammirava gli ornamenti del sublime carro, dall'oriente lucente l’Aurora puntuale spalancò i battenti purpurei: il cocchio doveva uscire. Elio spalmò sul volto di Fetonte un unguento per proteggerlo dal calore, poi gli pose sul capo la corona fiammeggiante. «Se almeno vuoi seguire i consigli di tuo padre» disse il dio «non usare la frusta, tieni ben strette le redini. I cavalli corrono già abbastanza senz'essere spronati. E non proseguire diritto attraverso le cinque zone del cielo, ma giunto al bivio, volta a sinistra – vedrai facilmente i solchi delle mie ruote. Inoltre, bada, affinché il cielo e la terra ricevano un egual calore, di non andare né troppo in alto né troppo in basso; infatti, se vai troppo in alto incendierai il cielo, e se se vai troppo in basso dai fuoco alla terra. La via più sicura è nel mezzo. Ma affrettati! Mentre ti parlo, la rugiadosa Notte ha raggiunto la sua meta ad occidente. E’ ora di partire. Guarda, già rosseggia l’alba. Figliolo, la Fortuna ti assista e ti sia miglior consigliera di quanto tu sei a te stesso. Ecco, prendi le redini.»
Caduta di Fetonte - Fonte Wikimedia |
Subito dopo l'inizio del viaggio, i cavalli si accorsero del peso troppo leggero del cocchio, s'imbizzarrirono e presero a solcare sentieri diversi da quelli usuali correndo all'impazzata: prima salirono troppo in alto, bruciando un tratto del cielo che divenne la Via Lattea, quindi scesero troppo vicino alla terra, devastando la Libia che divenne un deserto.
Zeus affinché non commettesse ulteriori disastri, colpì Fetonte con una delle sue folgori, il quale con i capelli in fiamme precipitò dal carro come una stella cadente, atterrando nel fiume Eridano.
E con quello di Fetonte siamo al terzo mito. Il quarto narra della figura secondaria nella rappresentazione dell'Auriga, ovvero la capra Amaltea con i suoi due capretti.
Il mito di Amaltea
Zeus, un satiro ed Amaltea - Fonte |
Zeus, padre e signore degli dei dell'Olimpo, era stato anch'egli un infante ed aveva un padre, Crono, davvero fuori dai canoni. Crono divorava i figli partoriti da sua moglie Rea poiché gli era stato predetto che sarebbe stato detronizzato da uno dei suoi figli; dopo aver dato alla luce e visti divorare dallo Poseidone, Ade, Estia, Demetra ed Era, Rea decise di salvare il suo prossimo nascituro, Zeus. Appena nato, Zeus fu portato a Creta dove venne allevato dalle ninfe Io e Adrastea e nutrito con il latte della capra Amaltea, la quale aveva appena partorito due capretti, mentre Rea rifilava a Crono una pietra avvolta in fasce.
Una volta cresciuto, Zeus uccise Amaltea e con la sua pelle fece un'armatura che lo rese invincibile nella Titanomachia (guerra contro i Titani). e, in segno di riconoscenza, immortalò la capretta ponendola nel firmamento nella costellazione dell'Auriga come la stella più luminosa di questa costellazione: Capella.
E con questo abbiamo terminato i miti dell'Auriga. Cieli sereni!
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